lunedì 27 agosto 2007

Salgo nel cielo e m'accorgo di una quiete naturale.
Mi sembra di essere avvolto in quello che chiamerei: nubifragio.
Nessuna sensazione m'è vicina, è una realtà fuori dall'essere.
Mi pare di averla già incontrata, conosciuta, osservata.
Beatitudine di pochi si può pensare,
mentre altri, assai lontani e disperati, la cercano correndo.
Mi cospargo di nutrimento, beneficio ben raccolto.
C'è qualcuno che disprezza, occhi spiacevoli sui volti inquieti.
M'accompagnano restando in attesa,
coloro che la lor mente domanda altro.
Non voglio, non chiedo dono,
so che il tempo m'inganna spesso.
A volte casco e son cresciuto.
Vedo qualcosa intorno a me, a lui, a lei,
volendo ne possiam parlare,
ma niente e nessuno può provare
la scintilla del sè e del cambiamento mai invano.
Cos'altro si può imparare in questo
corpo così violento, atroce funerale?
Schietto e risoluto è chi viaggia e non s'inganna,
meschino colui che gira e si compiace
d'aver capito che il mondo è suo,
perchè Dio, come lui, è a sua immagine e somiglianza.
Copia di un destino sempre avverso
per la mente che s'annega di parole spente e vuote.
Ascolto nel marasma voci bianche così fresche,
altre piccole ma già grandi, impoverite, assassinate.
Nel mondo c'è quella tigre che ti guarda, mi perlustra,
non c'è pace, ma niente potrà impedire la sua tranquillità.
Cammino di nuovo nel cielo e vedo alberi immensi
s'innalzano imponenti, così divini.
Risa incontrastate deridono, distruggono.
In perenne attesa c'è colui che ferma il movimento...

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