domenica 10 dicembre 2006

La morte come salvezza?

L’eutanasia è un argomento molto delicato e per fornire giudizi attenti e poco superficiali, bisognerebbe comprendere maggiormente i motivi che spingono un malato a decidere di morire. Molte malattie o traumi che portano per esempio alla paraplegia, non permettono di sopravvivere in maniera autonoma. Tutti coloro che si ritrovano in questo stato, sentono il peso, sempre maggiore, del non essere, quasi fossero destinati all’immobilità eterna. Le condizioni di vita per un malato non sono semplici, spesso appesantite da un dolore fisico estenuante, e l’impossibilità del non agire sul proprio corpo, può esasperare enormemente il degente. La scelta dell’eutanasia perciò è riconducibile prevalentemente a un allontanamento, sempre crescente, dalla vita normale. Se poi ci aggiungiamo; il dolore fisico e la mancanza di comunicabilità con il mondo esterno, tutta la situazione si aggrava in maniera esponenziale.
La domanda ricorrente è: l’eutanasia, cioè indurre la morte in un uomo consenziente, è il miglior modo per non vedere più soffrire una persona che sente di non appartenere più al mondo?
E’ una domanda davvero difficile. In pratica, giuridicamente, il paziente autorizza un’istituzione a togliergli la vita. Ma chi è che si prende la responsabilità del gesto?
Questo è un argomento dove ognuno potrà porre mille interrogativi e tantissime perplessità. Ma se si cerca dentro di noi la risposta, ci accorgeremmo che la libertà, non quella di poter scegliere di morire, ma la libertà interiore, può spingerci oltre al senso “alienante” del non essere o all’estrema difficoltà nel non provare dolore. Quello che mi chiedo è: la sofferenza può essere debellata dall’amore interno? Quando parlo di amore, non uso questo termine così usurpato dalle masse, ma dell’amore incondizionato per ciò che siamo e soprattutto per ciò che stiamo vivendo, anche nelle situazioni più estreme.
Sto cercando di capire se il concetto di scelta, inteso come “scegliere di morire”, sia un atteggiamento intelligente di fronte a una “prova” della vita importantissima. L’eutanasia non è forse un atto troppo semplicistico di chiudere baracca e burattini, quando anche in quello stato, così duro e difficile da sopportare, può essere un modo per crescere e comprendere il movimento della mente in tutte le sue forme? Lo so, dare una risposta a queste domande è assai complesso. E’ complesso perché ognuno di noi, guardando in faccia il dolore ha una grande paura. Resistere al dolore per molti è incomprensibile. E’ proprio in questo momento che l’uomo, capace di intendere e di volere, decide di morire. La morte diventa una liberazione da questo “male”(anche psicologico) così incessante.
Coloro che avranno voglia di scoprire i comportamenti profondi della loro personalità, allontaneranno con forza l’idea di morire, mentre altri, sopraffatti dal senso della malasorte e dalla sofferenza, grideranno e chiederanno una morte anticipata (probabilmente inesaudita, come succede nel nostro paese).

Emilz, l'osservatore.

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